Il chirurgo di Pompei

Il chirurgo di Pompei

Gli italiani sono meglio di quello che a volte si dipingono. Oltre a notizie di imbrogli, furti e ladrocini e furberie varie, a volte le cronache per fortuna riportano anche di tanti bravi e onesti che non solo lavorano sodo, ma anche si prodigano gratuitamente, recandosi ove i problemi sono molto gravi, per cercare di dare un contributo alla loro soluzione. Così un chirurgo di Pompei, che appena può lascia la sua famiglia per andare a operare i malati del Burundi. I quali purtroppo sono tanti e in stato di grave malnutrizione, affetti da tante malattie da noi ormai altrove scomparse. Il suo nome è Antonio Ebreo.

Obiettivo: Il chirurgo di Pompei, fornire assistenza sanitaria e cura dei pazienti.

Attività: Si chiama ‘Madre Maria della divina Provvidenza’ l’ospedale in cui opera Antonio Ebreo. Si trovo a Milo, un villaggio nel nord del Burundi, ed è gestito dalle suore di Bene Mariya, un ordine diocesano locale diretto da suor Daphrosa Kiraniguye, medica cardiologa laureatasi a Bologna. L’ospedale può ospitare 150 bambini, ma spesso gli ospiti arrivano a 200 e i bambini si ammassano in 3 o 4 sullo stesso letto. All’interno della struttura ci sono reparti di medicina, pediatria, chirurgia, ostetricia, fisioterapia, farmacia, servizio HIV. Tanti i bambini del Burundi che soffrono la fame.

L’ospedale è stato costruito con denaro italiano nei primi anni 2000 da un’ostetrica di Brescia, Maria Belleri. La collega del dottore, che si chiama Lucia Amato, pediatra, mi spiega che ogni mese nel piccolo ospedale si praticano 170 parti, di cui 50 cesarei. ‘Ogni giorno nel reparto di pediatria sono ricoverati dagli 80 ai 120 bambini con tutte le patologie del mondo, o meglio di quel mondo. Ammassati in tre o quattro su un letto insieme con le loro madri, c’è alto rischio di contagio per tutte le differenti patologie, ma tutti hanno una grande pazienza e una grande voglia di lavorare’, racconta il dottore.

In Burundi il costo dell’assistenza sanitaria è a carico del paziente, tranne per quelli affetti da Aids e Tbc, e per i bambini fino a 5 anni e le donne gravide. Ma tutto questo è puramente teorico. ‘Nell’ospedale di Mivo noi cerchiamo di curare tutti, anche i poverissimi. La popolazione di Mivo è prevalentemente rurale e i più fortunati hanno un po’ di terra da coltivare per la loro sopravvivenza, che in caso di necessità, per malattie o altre esigenza, sono costretti a vendere, e rischiano di morire di fame. Farmaci e presidi sanitari costano molto, e la qualità non è paragonabile a quella occidentale. Nei miei viaggi ogni volta porto 46 chili di materiale sanitario’, spiega Maria.

La notizia dell’arrivo imminente del dottore vene diffusa tramite la parrocchia e la radio locale, per cui arrivano pazienti con situazioni cliniche delle più disparate e spesso gravissime.

La situazione politica è estremamente delicata, le continue tensioni portano spesso ad azioni violente: posti di blocco, esercito e polizia limitano la libertà di movimento. Sono frequenti gli atti di violenza comune che causano morti e feriti, coinvolgendo anche persone estranee. Il pericolo più concreto viene da parte dei terroristi di Al-Shabaab, gruppo jihadista di matrice islamica.

La testimonianza dell’ospedale va in netta controtendenza con la narrazione purtroppo frequente di un Paese sempre più violento e corrotto, con frequenti episodi di ignoranza, egoismo e insensibilità al dolore altrui. Perché ci sono molte persone oneste e generose che non agiscono per appropriarsi del bene pubblico, o per ingannare il prossimo. Sono tante e fanno onore al Paese.

Ambito territoriale: Milo, villaggio del nord Burundi.